Data: 17/05/2025 - 14/06/2025
Ora: 18:30
Nuovi paesaggi: foto di Margherita Bianca
A cura di Cristina Costanzo ed Enzo Fiammetta
Baglio Di Stefano, Gibellina
17 maggio ore 18,30 /15 giugno 2025
La mostra NUOVI PAESAGGI: foto di Margherita Bianca è a cura di Cristina Costanzo e Enzo Fiammetta e sarà allestita negli spazi del baglio Di Stefano di Gibellina, sede della Fondazione Orestiadi. Le fotografie di Margherita Bianca presentano una riflessione sui paesaggi nuovi del Belice scaturiti dal connubio tra le forme della natura e le energie rinnovabili. La mostra presenta infatti una selezione di fotografie che negli ultimi anni l’autrice ha dedicato a questo tema, alla ricerca di una visione inedita del paesaggio siciliano.
L’ARTISTA
Margherita Bianca è nata a Treviso, vive a Palermo dove ha lavorato come land artist, realizzando installazioni in giardini storici degradati e spazi periferici della città, utilizzando metalli e materiali riciclati. Oltre agli interventi in esterni, ha svolto una ricerca estetica su temi legati alla sfera del personale elaborando momenti e situazioni del quotidiano avvalendosi anche dell’uso del video. Attualmente il suo interesse è rivolto al paesaggio naturale e urbano che esplora attraverso il mezzo fotografico.
PUNTI DI VISTA
Enzo Fiammetta
Raggiunto il Cretto, appena scesi dalla macchina, il grande sudario bianco di Burri, si apre davanti a noi. Le vie della vecchia città diventate crepe percorribili, ricordano parzialmente il tessuto viario. Il dramma della città è elaborato attraverso il gesto creativo del maestro. Il grande quadrato bianco e il paesaggio si distendono a perdita d’occhio. La solennità del luogo che evoca la tragedia, il silenzio che rimanda alle mille voci della Gibellina vecchia è rotto dal fruscio ritmato di un gruppo di pale eoliche, collocate a sovrastare il Cretto. Il suono meccanico, ti fionda su una dimensione estraniante.
I nuovi paesaggi sono quelli dove non è concesso pensare, ne fermarsi, ne lasciarsi alle spalle anche per poco lo stato di necessità che sembra avere afferrato tutti perché in ogni momento o istante non si perda il contatto con il presente. Sono luoghi ibridi. Le immagini di Margherita Bianca documentano non solo il cambiamento del paesaggio, cosa che da sempre avviene, ma drammaticamente registrano il mutare del nostro rapporto con l’ambiente. Oggi viviamo in un paradosso, siamo passati dalla civiltà della parola a quella delle immagini e queste documentano gran parte delle nostre azioni quotidiane, l’incrocio e lo scambio di milioni di foto attraverso i social, ha modificato il nostro senso visivo, portandoci a riflettere solo su come dare senso ad esse senza nessuna possibilità di un atto che ci consenta di riappropriarci della nostra relazione con il mondo.
I nuovi paesaggi di Margherita Bianca registrano in maniera poetica la perdita del senso del limite, che che da sempre ha indicato il passaggio tra uno stato all’ altro, tra il dentro e il fuori, tra città e campagna, il bordo ha sempre segnato un cambiamento.
Le distese di pannelli fotovoltaici, se pur nella necessità di un approvvigionamento energetico da fonti pulite e rinnovabili, sono il segno della perdita della sacralità del paesaggio.
Il punto di vista delle immagini dell’artista, personale ed unico, è quello del viandante sul mare di nebbia di Friedrich, che sta su un costone di roccia a guardare i monti e la nebbia, la figura dell’uomo in controluce, che si ferma a guardare. Oggi il nostro vedere e il nostro rapporto con gli elementi naturali, è veloce, rapido, superficiale, che non cerca una corrispondenza con il nostro animo, ma con il sentire collettivo con cui condividere le nostre annotazioni attraverso i social e da questi aspettare una pubblica approvazione. La perdita di sacralità del paesaggio è la perdita di ogni nostro necessario punto di riferimento ed è all’origine della mancanza di consapevolezza di quanto sia per noi vitale un rapporto armonico con esso. Noi siamo viandanti incapaci di guardare il mare.
Margherita Bianca – una visione possibile
Cristina Costanzo
La ricerca estetica di Margherita Bianca si radica nel clima culturale e politico-sociale internazionale del secondo Novecento in virtù della sua affinità con le riflessioni d’avanguardia maturate intorno alla Land Art e all’Arte concettuale. Dagli anni Sessanta del Novecento in poi sempre più artiste e artisti hanno dato voce alle istanze di rinnovamento volte a scardinare i confini angusti del museo e dei sistemi di produzione e hanno concentrato il loro interesse sull’ideazione di opere anti-canoniche, da intendersi anche come traccia effimera, realizzate nella natura sconfinata e incontaminata. Ancora oggi la crescente attenzione per la natura quale osservatorio privilegiato per le arti visive favorisce la diffusione di opere capaci di riflettere sul rapporto tra l’uomo e l’universo, con diffusa coscienza eco-sociale.
Sin dal suo esordio artistico la ricerca di Margherita Bianca si è anch’essa orientata verso una nuova visione del paesaggio urbano e naturale, capace di promuovere una riflessione sulla nostra condizione di individui civilizzati, confluita in una serie di installazioni, eseguite con metalli e materiali riciclati e ideate per alcune zone periferiche e per alcuni giardini storici palermitani segnati dal degrado.
In tempi più recenti l’artista si è dedicata alla fotografia e ha dichiarato:
“Col tempo i metalli diventano pesanti. Scopro nella fotografia un mezzo più agile per esprimermi. Alberi e paesaggio mantengono un forte richiamo per la mia ricerca”.
Altro snodo importante della sua poetica è quello affidato al progetto Piante di città del 2018, realizzato nell’ambito di Manifesta 12.
Dedicato alle piante “vagabonde” – secondo una definizione di Gilles Clément – o migranti, come il Pennisetum, Piante di città costituisce un racconto botanico-fotografico sulla wilderness urbana ed extra-urbana palermitana volto a indagare l’equilibrio tra “rilevazione e rivelazione”.
Dal 2024 a oggi con il medium della fotografia Margherita Bianca ha riservato speciale attenzione anche al fenomeno delle energie rinnovabili e al loro impatto sul paesaggio naturale. Ad emergere è il tema assai complesso della ricaduta dell’impiego delle rinnovabili sulla percezione e sulla fruizione del paesaggio, chiamato e insieme forzato a cambiare i propri connotati.
In particolare, la selezione di fotografie in mostra propongono una riflessione sui paesaggi del Belice, in questa occasione definiti “nuovi” in quanto scaturiscono dal dialogo tra le forme della natura e quelle delle energie rinnovabili. Inedita è anche la visione del paesaggio siciliano offerta dall’artista, che si concentra su Gibellina e i suoi dintorni, da Santa Ninfa a Ficuzza, da Piana degli Albanesi a Feudo Mondello e Camporeale, da Salemi e Marsala.
Ne scaturisce un continuo rincorrersi tra occultamento e svelamento di questi elementi, pale eoliche e pannelli solari, ora a evidenziare ora a sottrarre queste strutture monumentali che hanno contribuito a una configurazione forzata del paesaggio in cui, nonostante il rischio di un anonimato massificante del nostro territorio, talvolta ci sembra di assistere a un’integrazione pacifica tra le parti.
Nelle fotografie in mostra è cruciale in tal senso
il ruolo simbolico del Grande Cretto, esempio di “archeologia del futuro”, secondo una definizione cara a Ludovico Corrao e ad Alberto Burri, che ha salvato una traccia della topografia originaria del centro colpito dal terremoto del 1968 grazie alle formule espressive contemporanee. Si tratta di una presenza attiva dell’antico, capace di suggerire il dialogo tra la storia (Segesta, Selinunte e la stessa Gibellina cosiddetta “vecchia”) e la sua ferita, riscattata dall’arte contemporanea.
Il lavoro di Margherita Bianca, che guarda al Cretto nel suo insieme con le pale eoliche, testimonia così un ulteriore passaggio difficile e documenta una nuova immagine delle macerie, in cui pars destruens e pars construens sono tutt’uno non soltanto tra loro ma anche con l’arte e il paesaggio, interessato ancora una volta da un cambiamento di segno, esito di una nuova visione del territorio.
Si scorge, infine, una connotazione emotiva non priva di una certa intensità che rimanda a una ricerca più personale e intima e affiora nella dialettica tra moti contrapposti.
Nelle fotografie di Margherita Bianca le tensioni tra paesaggi, venuti corpo a corpo tra loro, raggiungono un equilibrio immobile, silenzioso, mentre il rapporto mutevole – paritetico o conflittuale che sia – tra le forze della natura e quelle artificiali ci invita a reimmaginare tanto il nostro sguardo quanto il paesaggio e a coltivare una nuova visione della nostra simbiosi con l’ambiente.